Albania: dove la strada ti sfida e ti ricompensa




Chiudo i bauletti del Transalp nervosamente, sollevato solo dal pensiero che tra pochi minuti lascerò questo infernale campeggio macedone.Viaggiare con un budget limitato è come caricarsi sulla moto la dea bendata, non sai mai dove ti farà capitare. Questa volta, mi è andata male.
Guido fino a Struga, costeggiando il lago Orid. Le sue acque sembrano un foglio azzurro, liscio, perfetto, senza increspature. Il contrario del mio umore.
Mi sto dirigendo verso Debar e quando vedo sulla strada un cartello che indica il divieto di fotografare, sono preso dall’irrefrenabile desiderio di capire la ragione del divieto, e, naturalmente, di fare la più bella foto del mio viaggio.
Proseguo per un paio di chilometri, incuriosito, fino a quando raggiungo la zona proibita.Su un lato sorge una costruzione grigia, imponente, in stile URSS, la cui lunga vetrata riflette la luce del mattino. Sul lato opposto, la strada corre sopra una massiccia e alta diga, mentre poco lontano spuntano edifici non meglio identificati e, chissà, magari anche qualche bunker segreto.
Voglio assolutamente fotografare questo spettacolo decadente, lo strascico di un passato dittatoriale che ancora getta la sua ombra sulle spalle del paese, popolando di fantasmi posti come quello dove mi trovo ora.

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Scendo dalla moto e aspetto un paio di minuti, per vedere se c’è qualcuno nel complesso. Resto fermo, in attesa, studiando l’inquadratura e la luce, quando sento una voce in lontananza che mi ammonisce urlando: non si possono scattare foto.
Mi giro e seguo con lo sguardo i passi del custode, nonché addetto al funzionamento della diga. Mi sorride, quasi mortificato di aver tarpato le ali alla mia creatività artistica.
Vedendomi visibilmente deluso, mi invita a visitare l’imponente sala controllo che domina tutto il lago artificiale Globochica.
Lo seguo in quel regno surreale di cui lui pare essere ben più di un custode. Mi parla di sé, dice di essere albanese ma di lavorare lì perché gli stipendi sono più alti. La famiglia è rimasta in Albania. Chiacchieriamo per una buona mezz’ora, come vecchi amici.
Improvvisamente non mi importa più delle foto, perché il mio scatto lo sto vivendo in questo momento. Dopo essermi congedato dal mio nuovo amico, riparto per raggiungere il lago Debar e la sua omonima piccola città.
Arrivato al confine con l’Albania mi sento rinvigorito, ma una nuova sfida mi si presenta. Il posto di controllo è desolato, un puntino nel nulla. Quando l’ufficiale di grado più alto mi vede arrivare, esce dalla guardiola e mi si avvicina sospettoso. Mi gira intorno, come un avvoltoio, ma quando vede la mia targa italiana il suo fare da duro svanisce come per incanto e iniziamo a parlare. L’ennesimo esempio dell’accoglienza e gentilezza del popolo albanese.

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Dopo avermi regalato una cartina dell’Albania e avermi salutato calorosamente, l’ufficiale benedice la mia partenza con un sorriso.
Proseguo con un umore ben diverso da quello con cui sono partito questa mattina. Sono nella regione più remota dell’Albania e il fiume Drin Nero, con le sue acque turchesi e il suo incedere lento, mi accompagna dal lago Orid. Decido quindi di seguirlo fino a Kukes.
Dopo essermi lasciato alle spalle il brulichio del mercato della città di Peshkopi e dopo aver percorso una decina di chilometri, attraverso un malandato ponte in cemento e assi di legno scricchiolanti che segna l’inizio della strada sterrata che costeggia il fiume.
La strada è a tratti pianeggiante e sabbiosa, a tratti ripida e sassosa, rendendo la guida faticosa e impegnativa. Le case sparpagliate qua e là mi confortano, ma si sa, prima di migliorare le cose devono peggiorare.

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É la mia prima vera esperienza di sterrato così lontano da casa, mi sto portando la dea bendata non solo nei campeggi, ma anche fuori strada. Può sembrare un azzardo, ma nella vita, per avere successo, bisogna credere nelle proprie capacità.
Avanzo lentamente, il caldo diviene ancor più insopportabile, e cerco di non far surriscaldare il motore, ma soprattutto di non cadere. Il navigatore è molto utile in questa situazione perché mi anticipa l’andamento della strada e tiene conto dei chilometri che mancano.
Dopo un’ora ne ho percorsi pochi, forse 10 km, e ormai le abitazioni hanno lasciato il posto ad una rigogliosa vegetazione sovrastata da grigi massicci rocciosi. Non c’è alcun segno di vita e la strada peggiora ancora. I tratti con la vecchia pavimentazione a sassi mi mettono a dura prova, facendomi toccare con mano, anzi con ruota, come fosse difficile viaggiare secoli fa.

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Sono talmente concentrato sulla guida che mi accorgo solo dopo un paio di chilometri che a uno dei tanti bivi ho sbagliato direzione. Faccio inversione a U e torno indietro, non prima di essermi dato dello stupido. Avvalorando il detto che “chi non ha testa abbia gambe”, in questo caso cavalli motore, do gas e recupero.
Incontro solo tartarughe, che attraversano la strada stoicamente, incuranti del gigante su ruote in arrivo. Continuo a costeggiare il fiume in una valle stretta, in un costante sali scendi. Un momento sono a pochi metri dall’acqua, mezz’ora dopo sono centinaia di metri più in alto. Il panorama è strepitoso, selvaggio e duro.
In 5 lunghe ore ho incontrato soltanto un 4×4 e ho percorso solo 60 km. Quando finalmente ritrovo l’asfalto, sono quasi incredulo. Pensavo che non sarebbe mai finita. Guido per altri 15 km su una liscia e rassicurante strada asfaltata, fino all’insignificante città di Kukes, dove trovo un albergo per la notte.

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Sono stremato, ma felice perché sono riuscito ad affrontare tutte le avversità che mi si sono presentate uscendone vincitore.
Lo si può considerare un giorno perfetto: ho incontrato persone strepitose, accoglienti e generose e ho superato una delle sfide di guida più difficili della mia vita, godendo di panorami bellissimi.
Il viaggio non è fatto solo di strada, di difficoltà e imprevisti, ma anche e soprattutto delle persone che incontriamo, con cui parliamo e che ci aiutano ad appallottolare e gettare come carta straccia i luoghi comuni. Io ne ho avuto la conferma, in Albania, dove la strada mi ha sfidato e ricompensato.

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